L'articolo 1102 del Codice Civile recita: Ciascun partecipante puo' servirsi della cosa comune, purche' non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine puo' apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non puo' estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Quali sono i limiti di questo articolo? Fino a che punto il condomino può intensificare il suo uso senza intaccare i diritti degli altri condomini? Da un lato l’articolo 1118 regola il diritto di ciascun condomino proporzionalmente al valore dell’unità immobiliare di cui è proprietario, ma tale articolo, come ribadito dalla Corte di Cassazione (Sentenza n.26226 del 7/12/2006), non può riferirsi certo al godimento che si presume uguale per tutti, come riportato dall’articolo 1102 con il porre il limite del pari uso. Che significa? Che il diritto all’uso citato nell’articolo 1102 esula dalle quote di proprietà, a patto però che non venga arrecato alcun pregiudizio al potere degli altri condomini riguardo al pari uso. A questo punto, anche rispettando in linea di massima, i precedenti orientamenti, la Corte di Cassazione, con sentenza n.11445 del 3 giugno 2015, afferma e chiarisce ulteriormente:
Il disposto dell'art. 1102 cod. civ. è nel senso che ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità - più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso. A tal fine il singolo condomino può apportare alla cosa comune le modificazioni del caso, sempre sul presupposto che l'utilità, che in contrasto con la specifica destinazione della medesima o, a maggior ragione, che essa non perda la sua normale ed originaria destinazione.
Vanno comunque rispettati i limiti previsti dal Codice civile che la Corte identifica nell’articolo 1120, ossia nelle innovazioni che possono arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato e che ne alterino il decoro architettonico.