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Chi preferisce il carcere alla moglie non commette reato di evasione dagli arresti domiciliari

Roberto (nome di fantasia) si trova agli arresti domiciliari per scontare una pena. La casa coniugale però che sotto certi aspetti offre comodità maggiori rispetto al carcere, a volte lo fa rimpiangere, specie in caso di continui litigi con il coniuge.

Un bel giorno Roberto, esasperato per la situazione creatasi in un ambiente familiare che dovrebbe tutelare maggiormente rispetto ad un duro regime carcerario, telefona ai Carabinieri, informandoli di essere fuori dal proprio domicilio e “pregandoli” di accorrere per  trasferirlo in carcere. Analizziamo il fatto.

 

L’articolo 385 del Codice Penale recita: Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. Le disposizioni precedenti si applicano anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale. Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita.

L’articolo 274 cod.proc.pen. recita: Le misure cautelari sono disposte:

a)  quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti;

b)  quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede;

c)  quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.

In primo grado, i Giudici hanno condannato Roberto a 4 mesi di reclusione, per il reato di evasione, non considerando valido il motivo (il litigio con la moglie), per il quale è avvenuto l’allontanamento dal luogo di detenzione, ossia gli arresti domiciliari. In secondo grado è stata confermata la condanna inflitta in primo grado.

A questo punto Roberto decide di proporre ricorso in Cassazione, per l’insussistenza del reato, in quanto non c’è mai stata la volontà di sottrarsi al controllo dell’Autorità Giudiziaria, ed a conferma c’è la telefonata fatta ai Carabinieri, dopo l’ennesimo litigio con la moglie, con la richiesta di essere trasferito in carcere.

La Cassazione accoglie il ricorso, ma soprattutto il rilievo difensivo secondo il quale, il motivo base dell’articolo 385 c.p., ossia l’obbligo dell’imputato di rimanere nel luogo di detenzione e non  allontanarsi senza alcuna autorizzazione,  rispetta pienamente le esigenze cautelari di cui all’articolo 274 cod.proc.pen., così come consente e quindi non ostacola in alcun modo,  i controlli da parte dell’Autorità Giudiziaria. Ne consegue che in questo caso particolare il reato non possa configurarsi. Tra l’altro, la manifestazione di volontà a sottoporsi ad un regime carcerario più rigoroso, determina l’irrilevanza dell’infrazione, e per questo motivo viene annullata dalla Cassazione la sentenza impugnata.

In conclusione: Evadere dagli arresti domiciliari per sfuggire alla propria moglie, preferendo il carcere,  non può essere considerato reato. Così ha deciso la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza n.44595/2015.

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