La Legge 13/89 "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati." , all’art.2:
1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile.
2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.
Questa la parte normativa.
Il fatto ha origine nel 1999, prima ancora dell’entrata in vigore della riforma del condominio, ma la Cassazione ha sentenziato nel 2015.
Un’assemblea di condominio con meno di 667 millesimi (2/3) decide la realizzazione di un ascensore nel vano scale, con taglio e riduzione della larghezza della scala condominiale. Due condomini presenti a quell’assemblea, ma dissenzienti, presentano ricorso al giudice, chiedendo l’annullamento della delibera, in quanto adottata con 608 millesimi, nonostante il loro dissenzo ed appellandosi alla lesione del decoro architettonico, oltre l’inservibilità della scala stessa. Nel giudizio, il Condominio faceva presente che proprio la legge 13/89 sull’abbattimento delle barriere architettoniche ne consentiva la realizzazione, oltre che la riduzione della larghezza delle scale.
Dopo relazione del CTU, il giudice dava ragione al Condominio, respingendo la richiesta di annullamento della delibera presentato dai due dissenzienti che venivano condannati al pagamento delle spese. La sentenza è del 2002.
I due condomini, non ancora soddisfatti, presentano appello. Anche in questo grado di giudizio, viene data ragione al Condominio ed i due condomini appellanti vengono condannati al pagamento di tutte le spese, comprese quelle relative al CTU che ha evidenziato che la larghezza della scala, di mt. 0,72 consente il passaggio, oltre l’assenza di pregiudizio per il decoro architettonico. La sentenza è del 2010.
Eppure, nonostante i due gradi di giudizio siano contrari, i due condomini presentano ricorso in Cassazione. I motivi sono legati alla larghezza della scala che col taglio consentirebbe il passaggio di una sola persona e potrebbe essere un limite in caso di eventuale fuga o soccorso, costituendo così violazione dell’articolo 1120. Estremamente interessante il seguente passaggio dove la suprema Corte affronta il tema della “solidarietà” collegato a questo caso. In tema di condominio negli edifici, il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione, ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della cosa comune secondo la sua naturale fruibilità. A ciò si aggiunge – e qui entra in ballo la solidarietà condominiale – che a fronte di una coesistenza di più unità immobiliari devono essere bilanciati degli interessi, tra cui quello delle persone con disabilità finalizzato all’abbattimento delle barriere architettoniche, diritto costituzionalmente garantito. In più il CTU incaricato ha accertato che nel palazzo vivono condomini con problemi di deambulazione, con patologie abbastanza serie e all’ultimo piano una signora di oltre 90 anni, in sedia a rotelle, che non può uscire da casa, proprio per le scale e l’assenza di un impianto vitale quale può essere l’ascensore. Il ricorso, ovviamente, è stato rigettato ed i due condomini sono stati condannati al pagamento delle spese. La sentenza è la n.16486 dell’agosto 2015.