L'articolo 612 del Codice Penale recita:
"Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio".
La minaccia è un delitto contro la libertà individuale della persona ed è punito dal codice penale con una multa (fino a 51 euro) e, nei casi più gravi (previsti dal secondo comma dell'art. 612 c.p. con la reclusione fino a un anno. Affinchè si concretizzi tale reato è sufficiente che un individuo venga intimidito con la prospettazione di un danno ingiusto, rivolto alla persona o al suo patrimonio, di entità tale da limitare la sua libertà psichica. Quindi è un reato che ha natura di pericolo, in quanto può rappresentare l'antefatto di atti lesivi concreti; tuttavia, ogni minaccia deve essere adeguatamente valutata caso per caso ed in particolare tenendo conto delle condizioni dell'agente e dell'effetto sulla vittima.
Ciò premesso, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n.51618/2017, ha ritenuto generiche e indeterminate le dichiarazioni di due soggetti che hanno augurato la morte all'amministratore del proprio condominio, non essendo riscontrabile l'elemento soggettivo e oggettivo del reato di minaccia.
Il fatto si svolge in provincia di Messina a seguito di una sentenza di Giudice di Pace risalente al 30/01/2015. Protagoniste due condomine che avevano mosso frasi "pesanti" all'amministratore del proprio condominio del tipo "gliela faremo pagare" e "che possa avere una leucemia fulminante". In primo grado, il Giudice di Pace, aveva condannato le due "imputate" alla pena di Euro 30,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese processuali. In appello, con sentenza del 21/10/2016, veniva confermata la stessa pena con aggravio ulteriore di spese. Viene così proposto ricorso in Cassazione.
Il ricorso si basa su tre motivi:
1) Violazione degli artt.110 e 612 cod.pen. e 530, comma 2, cod.proc.pen. Il Giudice non avevrebbe tenuto conto dell'interesse economico, ascrivendo invece forte attendibilità alle persone offese, arricchito da uno scenario di spinte e spintoni asserite e allo stesso tempo smentite, così come sarebbero state smentite documentalmente le dichiarazioni delle parti civili circa il momento in cui sarebbe stato chiuso e sottoscritto il verbale dell'assemblea condominiale, sottoscritto dai condomini;
2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato. Il Giudice aveva scorporato la frase "gliela faremo pagare" dal contesto in cui era stata pronunciata e aveva contraddittoriamente escluso la sussistenza dell'elemento oggettivo per la prefigurazione di una morte per leucemia fulminante, ovviamente indipendente dalla capacità di influenza dell'agente e quindi non contestualizzato nella fattispecie della minaccia; tale frase, invece, era strettamente connessa nel contesto in cui era stata pronunciata alla prospettata intenzione di «fargliela pagare», letta indebitamente nella sentenza impugnata come dotata di valenza autonoma;
3) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ragione dell'omessa motivazione da parte del giudice del gravame in ordine ai motivi di appello, segnatamente quelli inerenti l'elemento soggettivo e il concorso di persone nel reato.
Per la Corte augurare la morte dell’amministratore equivale a dichiarazione generica e indeterminata in cui non è riscontrabile l”elemento soggettivo e oggettivo del reat, e per questi motivi annulla senza rinvio la sentenza perchè il fatto non sussiste.