L'apparenza inganna. Anche in campo condominiale questo assunto trova applicazione. Infatti molti pensano che quando un'assemblea di condominio decide con maggioranze insufficienti rispetto a quelle previste dalla legge, quanto deliberato non è valido. E' effettivamente così?
La risposta non può che essere negativa, proprio perchè le delibere dell'assemblea possono essere "nulle" e "annullabili". La differenza sta nel fatto che per le prime non esistono limiti temporali entro cui presentare ricorso, al contrario delle seconde che se non impugnate nel termine di 30 giorni, acquistano efficacia e diventano valide. Beninteso che i 30 giorni decorrono per gli assenti dal giorno in cui è stato notificato il verbale, mentre per i presenti e delegati, dalla data in cui l'assemblea ha deliberato. Questo lasso temporale molto spesso è insufficiente per programmare un ricorso da parte del condomino che si è visto subìre un torto, e questo fa sì che a volte, pur avendo ragione non si è nelle condizioni di tutelare e far valere dei diritti che sono sacrosanti. Un esempio classico può essere la mancata ricezione di un avviso di convocazione o una decisione assunta con maggioranze insufficienti. Mentre un tempo delibere assunte in queste condizioni erano ritenute nulle, oggi diventano annullabili. Nello specifico possono essere considerate nulle, in primis, tutte quelle delibere adottate che non rientrano nei poteri dell'assemblea oppure che sono contrarie a norme imperative di legge, o comunque a norme costituzionali. Le delibere nulle possono essere impugnate in qualunque momento da ogni condomino, anche da chi ha votato a favore.
Tutte le altre delibere che non rientrano nella tipologia di cui sopra, sono annullabili. Queste vanno impugnate entro il termine tassativo di 30 giorni. L'impugnazione può essere fatta solo dai condomini che hanno votato contro, dagli astenuti e dai condomini assenti.
Tali principi sono stati sanciti dalla sentenza n.4806 del 2005 della Cassazione a Sezioni Unite che ha ridotto i casi di nullità per quanto riguarda le delibere condominiali.
La controversia trae origine da impugnazione proposta da due condomini, avverso tre delibere dell'assemblea del condominio (adottate il 18 settembre 1995, il 15 dicembre 1995 e il 23 settembre 1996) concernenti l'approvazione del consuntivo relativo alle spese ordinarie per l'anno 1995/1996, la ripartizione delle spese per alcuni lavori straordinari e il riparto della tassa di occupazione suolo pubblico. Le ragioni dell'impugnazione erano la mancanza nel verbale dell'indicazione dei condomini che avevano partecipato all'assemblea e dell'entità delle spese deliberate; l'errata ripartizione, essendo stata effettuata sulla base di fittizi valori millesimali ed essendo state poste a loro carico spese sostenute per l'esclusiva utilità di condomini di altra palazzina.
Il Tribunale - ritenute le ragioni prospettate (come l'utilizzo di criteri contrari alla legge per la ripartizione delle spese) quali motivi di nullità delle delibere - rigettava la domanda nel merito, sostenendo che risultavano documentalmente smentite le omissioni nel verbale e l'utilizzo di tabelle millesimali fittizie e che la dedotta errata ripartizione delle spese era sfornita di prova.
Con successiva sentenza 1354/2000, la Corte d'appello dichiarava inammissibile l'appello principale dei due condomini; in accoglimento dell'appello incidentale del condominio e in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava i due condomini decaduti dal diritto di proporre impugnazione avverso le suddette delibere per decorrenza del termine di legge, perché i vizi dedotti erano da inquadrare nell'ambito dell'annullabilità e non della nullità delle delibere. In particolare la Corte d'appello riteneva il vizio di omessa comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea vizio del procedimento rientrante nell'annullabilità, e le delibere di ripartizione in concreto delle spese condominiali, anche se adottate in violazione dei criteri legali o convenzionali, annullabili, in quanto rientranti nell'esercito delle attribuzioni assembleari ex art. 1135 c.c., dovendo la loro impugnazione avvenire entro il termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c., non rispettato.
Al ricorso presentato dai due condomini, il condominio ha resistito con controricorso.
Avendo la seconda sezione civile, riscontrato delle divergenze riconducibili ai vizi delle delibere assembleari nell'ambito della nullità e annullabilità, il primo Presidente, nel rispetto dell'articolo 374 del secondo comma c.p.c., ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
Analizziamo i motivi:
Il primo motivo riguarda la violazione dell'art. 1136, sesto comma, c.c. Affermano i ricorrenti che dalla lettera della legge, secondo cui "l'assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione", deriverebbe che la delibera stessa è nulla e non annullabile, qualora l'assemblea deliberi senza che anche uno solo dei condomini sia stato invitato alla riunione.
Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell'art. 1137, secondo e terzo commi, c.c. Premesso di aver dedotto con i motivi d'appello l'omissione nel verbale dei nominativi dei condomini presenti (ovvero assenti, assenzienti e dissenzienti), dei valori dei millesimi e dell'entità delle spese deliberate ed approvate, i ricorrenti sostengono la nullità di tali delibere e non l'annullabilità, che la Corte d'appello avrebbe ritenuto incorrendo nella falsa applicazione dell'art. 1137 cit. In particolare sottolineano che il verbale deve contenere gli elementi indispensabili per il riscontro della validità della costituzione assembleare: l'indicazione dei condomini e dei millesimi sono essenziali ai fini della verifica della prescritta maggioranza ex art. 1136 c.c.
Il terzo motivo concerne la violazione dell'art. 1123, terzo comma, c.c. I ricorrenti assumono che, essendo state poste a loro carico spese - quali la tassa di occupazione del suolo pubblico, lavori straordinari per posti auto e per un ascensore - che dovevano essere a carico solo dei condomini che ne traevano utilità, la delibera è nulla.
Per dirimere le divergenze, le Sezioni Unite hanno ritenuto che debba privilegiarsi l'interpretazione secondo la quale la mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, anche ad un solo dei condomini, comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, in base alle seguenti considerazioni, e questo perchè in tema di condominio, il Codice non contempla la nullità. Infatti lo stesso art. 1137 c.c., al comma 2, espressamente stabilisce che, contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria; al comma 3 aggiunge che il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data di deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Il breve termine di decadenza e la individuazione delle persone legittimate alla impugnazione dimostrano essere contemplata una ipotesi di annullabilità, posto che sia in tema di negozio (artt. 1441 e 1442 c.c.), sia in tema di delibere societarie (art. 2377, comma 20, c.c.), il termine per la impugnazione e le persone legittimate a proporre l'azione contrassegnano le ipotesi di annullabilità; al contrario, per le ipotesi di nullità tanto in tema di negozio (art. 1421 e 1422 c.c.) quanto in tema di delibere societarie (art. 2379 c.c.), l'azione di nullità non è soggetta a termine e, allo stesso tempo, è legittimato ad esercitarla chiunque vi ha interesse, inoltre la nullità può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Dottrina e giurisprudenza ravvisano l'essenza della nullità nella mancanza o nella grave anomalia di qualche elemento intrinseco dell'atto, tale da non consentire la rispondenza alla figura tipica individuata dall'ordinamento. La nullità è considerata lo strumento con cui la legge nega fondamento a quelle manifestazioni di volontà attraverso le quali si realizza un contrasto con lo schema legale e con gli interessi generali dell'ordinamento. Di conseguenza, attraverso la sanzione della nullità, l'ordinamento, esprimendo un giudizio di meritevolezza, nega la propria tutela a programmazioni che non rispondono a valori fondamentali.
Come le Sezioni Unite risolvono il complesso contrasto giurisprudenziale? Semplicemente affermando che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, che se non viene impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137, 3° comma, c.c. - decorrente per i condomini assenti dalla comunicazione e per i condomini dissenzienti dalla sua approvazione - è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
Il principio comporta, quindi, il rigetto del primo motivo di ricorso.
Anche il secondo motivo è da rigettare, perché (come sopra detto) questa Corte ha costantemente affermato l'annullabilità ex art. 1137 c.c. della delibera il cui verbale contiene delle omissioni, anche relative alla mancata individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti e al valore delle rispettive quote (Cass. 22 gennaio 2000, n. 697; 29 gennaio 1999, n. 810).
Infine pure il terzo motivo è infondato, perché la delibera ha riguardato non la determinazione e fissazione dei criteri legali ovvero convenzionali per la ripartizione delle spese, ma, nell'ambito di tali prefissati criteri, la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni (posti auto o vano ascensore) e tassa di occupazione di suolo. E' stato sempre riconosciuto che la delibera, assunta nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c. relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall'art. 1137, comma ultimo, c.c. (v. Cass. 9 febbraio 1995, n. 1455; 8 giugno 1993, n. 6403; 1° febbraio 1993, n. 1213).