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Cassazione

Quali sono i limti che incontra il singolo condomino sull'uso delle parti comuni?

L'articolo 1102 del Codice Civile recita: Ciascun partecipante puo' servirsi della cosa comune, purche' non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine puo' apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Infiltrazioni nel terrazzo e responsabilità per omessa impermeabilizzazione

La colpa viene definita come un  atto o comportamento che implica conseguenze dannose verso individui o la comunità. In diritto è la mancata osservanza delle regole di condotta suggerite dalla prudenza, dalla diligenza, dalla perizia, o stabilite da norme giuridiche per evitare il verificarsi di un fatto illecito e dannoso.

Anagrafe condominiale e creditori

Quanti amministratori sono andati in crisi dopo la richiesta dei creditori nei confronti del condominio, finalizzata ad accedere ai dati contenuti nell'anagrafe condominiale? E quante volte nella risposta è stata tirata in ballo la privacy?

C'è da segnalare una interessante sentenza del Tribunale di Monza che mette in primo piano le ragioni del creditore del condominio, ragioni che meritano tutela.

L'argomento è abbastanza delicato perchè pone la questione della solidarietà dei debiti che la riforma in un certo senso, attenua, ponendola come alternativa, o meglio, come ultima spiaggia nel senso che se il creditore non riesce a soddisfarsi con i morosi, aggredirà l'intero condominio.

Il fatto: il creditore condominiale aveva presentato un ricorso al giudice contro il condominio per avere accesso all'intera anagrafe condominiale. Il condominio, dal canto suo, non evadeva la richiesta, in quanto il creditore aveva già pignorato il conto corrente condominiale e la richiesta poteva limitarsi ai dati anagrafici dei soli morosi, mentre il creditore convenuto asseriva l'esistenza di un obbligo di informazione a vantaggio del creditore sulle quote di ciascun condomino.

Il Tribunale di Monza, con Ordinanza n.3717 del 3 giugno 2015, ha accolto la richiesta del creditore, basandosi sul fatto che il creditore può chiedere l'informativa di tutto il condominio a tutela del suo diritto, perchè solo in questo modo può tutelarsi in via preventiva, sia che il credito sia stato deliberato e quindi riconosciuto, sia che non sia stato deliberato ed in tal caso ne rispondono tutti i condomini, proporzionalmente alla loro quota.


 

 

Nullità e annullabilità nelle delibere condominiali

L'apparenza inganna. Anche in campo condominiale questo assunto trova applicazione. Infatti molti pensano che quando un'assemblea di condominio decide con maggioranze insufficienti rispetto a quelle previste dalla legge, quanto deliberato non è valido. E' effettivamente così?

La risposta non può che essere negativa, proprio perchè le delibere dell'assemblea possono essere "nulle" e "annullabili". La differenza sta nel fatto che per le prime non esistono limiti temporali entro cui presentare ricorso, al contrario delle seconde che se non impugnate nel termine di 30 giorni, acquistano efficacia e diventano valide. Beninteso che i 30 giorni decorrono per gli assenti dal giorno in cui è stato notificato il verbale, mentre per i presenti e delegati, dalla data in cui l'assemblea ha deliberato. Questo lasso temporale molto spesso è insufficiente per programmare un ricorso da parte del condomino che si è visto subìre un torto, e questo fa sì che a volte, pur avendo ragione non si è nelle condizioni di tutelare e far valere dei diritti che sono sacrosanti. Un esempio classico può essere la mancata ricezione di un avviso di convocazione o una decisione assunta con maggioranze insufficienti. Mentre un tempo delibere assunte in queste condizioni erano ritenute nulle, oggi diventano annullabili. Nello specifico possono essere considerate nulle, in primis,  tutte quelle delibere adottate che non rientrano nei poteri dell'assemblea oppure che sono contrarie a norme imperative di legge, o comunque a norme costituzionali. Le delibere nulle possono essere impugnate in qualunque momento da ogni condomino, anche da chi ha votato a favore.

Tutte le altre delibere che non rientrano nella tipologia di cui sopra, sono annullabili. Queste vanno impugnate entro il termine tassativo di 30 giorni. L'impugnazione può essere fatta solo dai condomini che hanno votato contro, dagli astenuti e dai condomini assenti.

Tali principi sono stati sanciti dalla sentenza n.4806 del 2005 della Cassazione a Sezioni Unite che ha ridotto i casi di nullità per quanto riguarda le delibere condominiali.

La controversia trae origine da impugnazione proposta  da due condomini,  avverso tre delibere dell'assemblea del condominio (adottate il 18 settembre 1995, il 15 dicembre 1995 e il 23 settembre 1996) concernenti l'approvazione del consuntivo relativo alle spese ordinarie per l'anno 1995/1996, la ripartizione delle spese per alcuni lavori straordinari e il riparto della tassa di occupazione suolo pubblico. Le ragioni dell'impugnazione erano la mancanza nel verbale dell'indicazione dei condomini che avevano partecipato all'assemblea e dell'entità delle spese deliberate; l'errata ripartizione, essendo stata effettuata sulla base di fittizi valori millesimali ed essendo state poste a loro carico spese sostenute per l'esclusiva utilità di condomini di altra palazzina.

Il Tribunale - ritenute le ragioni prospettate (come l'utilizzo di criteri contrari alla legge per la ripartizione delle spese) quali motivi di nullità delle delibere - rigettava la domanda nel merito, sostenendo che risultavano documentalmente smentite le omissioni nel verbale e l'utilizzo di tabelle millesimali fittizie e che la dedotta errata ripartizione delle spese era sfornita di prova.

Con successiva sentenza 1354/2000, la Corte d'appello  dichiarava inammissibile l'appello principale dei due condomini; in accoglimento dell'appello incidentale del condominio e in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava i due condomini decaduti dal diritto di proporre impugnazione avverso le suddette delibere per decorrenza del termine di legge, perché i vizi dedotti erano da inquadrare nell'ambito dell'annullabilità e non della nullità delle delibere. In particolare la Corte d'appello riteneva il vizio di omessa comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea vizio del procedimento rientrante nell'annullabilità, e le delibere di ripartizione in concreto delle spese condominiali, anche se adottate in violazione dei criteri legali o convenzionali, annullabili, in quanto rientranti nell'esercito delle attribuzioni assembleari ex art. 1135 c.c., dovendo la loro impugnazione avvenire entro il termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c., non rispettato.

Al ricorso presentato dai due condomini, il condominio ha resistito con controricorso.

Avendo la seconda sezione civile, riscontrato delle divergenze riconducibili ai vizi delle delibere assembleari nell'ambito della nullità e annullabilità,  il primo Presidente, nel rispetto dell'articolo 374 del secondo comma c.p.c., ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Analizziamo i motivi:

Il primo motivo riguarda la violazione dell'art. 1136, sesto comma, c.c. Affermano i ricorrenti che dalla lettera della legge, secondo cui "l'assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione", deriverebbe che la delibera stessa è nulla e non annullabile, qualora l'assemblea deliberi senza che anche uno solo dei condomini sia stato invitato alla riunione.

Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell'art. 1137, secondo e terzo commi, c.c. Premesso di aver dedotto con i motivi d'appello l'omissione nel verbale dei nominativi dei condomini presenti (ovvero assenti, assenzienti e dissenzienti), dei valori dei millesimi e dell'entità delle spese deliberate ed approvate, i ricorrenti sostengono la nullità di tali delibere e non l'annullabilità, che la Corte d'appello avrebbe ritenuto incorrendo nella falsa applicazione dell'art. 1137 cit. In particolare sottolineano che il verbale deve contenere gli elementi indispensabili per il riscontro della validità della costituzione assembleare: l'indicazione dei condomini e dei millesimi sono essenziali ai fini della verifica della prescritta maggioranza ex art. 1136 c.c.

Il terzo motivo concerne la violazione dell'art. 1123, terzo comma, c.c. I ricorrenti assumono che, essendo state poste a loro carico spese - quali la tassa di occupazione del suolo pubblico, lavori straordinari per posti auto e per un ascensore - che dovevano essere a carico solo dei condomini che ne traevano utilità, la delibera è nulla.

Per dirimere le divergenze, le Sezioni Unite hanno ritenuto che debba privilegiarsi l'interpretazione secondo la quale la mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, anche ad un solo dei condomini, comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, in base alle seguenti considerazioni, e questo perchè in tema di condominio, il Codice non contempla la nullità. Infatti lo stesso art. 1137 c.c., al comma 2, espressamente stabilisce che, contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria; al comma 3 aggiunge che il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data di deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.

Il breve termine di decadenza e la individuazione delle persone legittimate  alla impugnazione dimostrano essere contemplata una ipotesi di annullabilità, posto che sia in tema di negozio (artt. 1441 e 1442 c.c.), sia in tema di delibere societarie (art. 2377, comma 20, c.c.), il termine per la impugnazione e le persone legittimate a proporre l'azione contrassegnano le ipotesi di annullabilità; al contrario, per le ipotesi di nullità tanto in tema di negozio (art. 1421 e 1422 c.c.) quanto in tema di delibere societarie (art. 2379 c.c.), l'azione di nullità non è soggetta a termine e, allo stesso tempo, è legittimato ad esercitarla chiunque vi ha interesse, inoltre la nullità può essere rilevata d'ufficio dal giudice.

 Dottrina e giurisprudenza ravvisano l'essenza della nullità nella mancanza o nella grave anomalia di qualche elemento intrinseco dell'atto, tale da non consentire la rispondenza alla figura tipica individuata dall'ordinamento. La nullità è considerata lo strumento con cui la legge nega fondamento a quelle manifestazioni di volontà attraverso le quali si realizza un contrasto con lo schema legale e con gli interessi generali dell'ordinamento. Di conseguenza, attraverso la sanzione della nullità, l'ordinamento, esprimendo un giudizio di meritevolezza, nega la propria tutela a programmazioni che non rispondono a valori fondamentali.

Come le Sezioni Unite risolvono il complesso contrasto giurisprudenziale? Semplicemente affermando che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, che se non viene impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137, 3° comma, c.c. - decorrente per i condomini assenti dalla comunicazione e per i condomini dissenzienti dalla sua approvazione - è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.

Il principio comporta, quindi, il rigetto del primo motivo di ricorso.

Anche il secondo motivo è da rigettare, perché (come sopra detto) questa Corte ha costantemente affermato l'annullabilità ex art. 1137 c.c. della delibera il cui verbale contiene delle omissioni, anche relative alla mancata individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti e al valore delle rispettive quote (Cass. 22 gennaio 2000, n. 697; 29 gennaio 1999, n. 810).

Infine pure il terzo motivo è infondato, perché la delibera ha riguardato non la determinazione e fissazione dei criteri legali ovvero convenzionali per la ripartizione delle spese, ma, nell'ambito di tali prefissati criteri, la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni (posti auto o vano ascensore) e tassa di occupazione di suolo. E' stato sempre riconosciuto che la delibera, assunta nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2 e 3, c.c. relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall'art. 1137, comma ultimo, c.c. (v. Cass. 9 febbraio 1995, n. 1455; 8 giugno 1993, n. 6403; 1° febbraio 1993, n. 1213).

 

 

 

 

Limiti del singolo condomino nell'uso delle parti comuni

Cassazione Civile, sez. II, sentenza 03/06/2015 n° 11445

Art. 1102 Codice Civile - Uso della cosa comune

 Ciascun partecipante puo' servirsi della cosa comune, purche' non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine puo' apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non puo' estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

Leggendo questo assunto sorge spontaneo chiedersi fino a che punto il condomino può intensificare l'uso delle parti comuni, o meglio ancora, quando l'uso più intenso può impedire agli altri lo stesso uso.

L'articolo 1118 fa riferimento alle tabelle millesimali e quindi si pone come una misura nel diritto di ogni condomino, ma se considera pesi e vantaggi, non fa certo riferimento al godimento come l'articolo 1102. La stessa Cassazione con la sentenza n.8808, nel 2003 ha definito il pari uso non come "uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri". Ne consegue che l'uso più intenso è totalmente staccato dal concetto di quote di proprietà.

Con queste premesse, la Corte di Cassazione con sentenza n.14107 del 2012, ha ritenuto legittima l'apertura di varchi nei muri perimetrali con porte e finestre, rispettando le condizioni dell'articolo 1102, "essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.

I medesimi concetti sono rafforzati nella sentenza 11445 del giugno 2015, e più specificatamente nella parte dove viene richiamato l'articolo 1102: ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità - più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché  non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso. A tal fine il singolo condomino può apportare alla cosa comune le modificazioni del caso, sempre sul presupposto che l'utilità, che in contrasto con la specifica destinazione della medesima o, a maggior ragione, che essa non perda la sua normale ed originaria destinazione. Maggiore uso e rispetto della non alterazione della destinazione non necessitano pertanto di autorizzazione dell'assemblea, ma incontrano dei limiti nell'articolo 1120 sulle innovazioni vietate.

 

 

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